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Alimentari, quando la filiera s'accorcia

di Roberto La Pira

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28 settembre 2009

Secondo un sondaggio pubblicato a fine luglio da Eurobarometro, l'80% degli europei quando fa la spesa considera l'impatto ambientale del prodotto. Dallo stesso rapporto emerge in maniera chiara la richiesta da parte dei cittadini, di un'etichetta ambientale per indicare le emissioni di carbonio e di gas serra sviluppati nel ciclo di vita. L'Italia segue con attenzione questi orientamenti, per la presenza sul territorio di moltissimi prodotti locali tradizionali che possono trarre vantaggio da politiche favorevoli allo sviluppo della filiera corta e di alimenti a chilometro zero.

«La filosofia è giusta – precisa Corrado Giannone, direttore della società di servizi Conal –, ma il più delle volte questi termini vengono usati a sproposito o addirittura come sinonimi per indicare un minore impatto ambientale. In assenza di regole e di norme è comprensibile una certa confusione tra i non addetti ai lavori, anche se la questione diventa delicata, quando gli stessi concetti vengono inseriti nelle gare di appalto per la gestione di mense scolastiche o ospedaliere. Lo stesso problema si pone per i ristoranti o i mercatini che si definiscono a km zero. In questo caso bisogna fidarsi di quanto viene riferito dal gestore valutando il tipo di piatti serviti a tavola e i prodotti esposti sulla bancarella». «Alcuni chiarimenti devono essere formulati – precisa Stefano Masini della Coldiretti –: basta dire che anche un'azienda di vendite a distanza di prodotti alimentari nella pubblicità definisce "filiera corta" il servizio di consegna a domicilio. Qualche problema "etico" si pone anche per il biologico, perché quando si comprano prodotti coltivati senza sostanze chimiche importati dall'Ucraina o da località ancor più lontane come India o addirittura Nuova Zelanda, bisognerebbe considerare l'inquinamento collegato al trasporto e valutare correttamente l'impatto ambientale».

Da un punto di vista legislativo, escludendo i prodotti Dop, Igp, Stg regolamentati dalla Ue, l'altro riscontro favorevole alla scelta di alimenti collegati al territorio si trova nel «Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione», recepito con decreto interministeriale nº 135 dell'11 aprile 2008 e pubblicato sulla GU nº 107 dell'8 maggio 2008. Il documento riassume le linee guida del Green Public Procurement e invita gli enti pubblici a prediligere negli acquisti dei vari settori merceologici compreso la ristorazione «criteri di preferibilità ambientale». «La filiera corta e l'impiego di prodotti locali rappresenta una quota marginale nel mercato – spiega Gabriella Iacono, Quality and Food Safety Manager di Gemeaz Cusin –. Per molti aspetti la situazione è simile a quella vissuta dieci anni fa dal biologico, quando tutti ne parlavano ma mancavano i fornitori in grado di garantire approvvigionamenti stabili e in linea con lo standard richiesto dai capitolati d'appalto della ristorazione scolastica. Oggi per la filiera corta e i prodotti locali a km zero si riscontrano problemi analoghi». Tuttavia, qualche buon esempio di ristorazione eco-etica-locale esiste. «A Messina – spiega Giuseppe Pecoraro, direttore generale dell'azienda ospedaliera Policlinico – nella gara di appalto dell'ospedale abbiamo inserito l'acquisto periodico di prodotti locali da selezionare tra quelli presenti sul territorio, insieme ad alimenti locali biologici e prodotti che rischiano di sparire dal mercato perché esclusi dai circuiti commerciali. Una nota di rilievo merita la presenza tra le derrate di pasta, olio e altre materie prime coltivate nelle terre o nelle strutture agricole sequestrate alla mafia».

Anche a Corsico in provincia di Milano per la scelta delle materie prime che finiranno nei pianti degli studenti si adottano criteri eco-etici-locali. «Dal 1º giugno – spiega Marco Papa, dirigente servizi alla persona responsabile per il comune – è in corso il nuovo contratto che prevede 2.400 pasti al giorno. Per realizzare il capitolato abbiamo seguito le linee guida previste dal Green public procurement, incentivando la presenza di prodotti collegati al territorio. Siamo riusciti così a utilizzare il 50% di prodotti biologici per la maggior parte delle derrate, lasciando una finestra per quelli provenienti da altre parti del mondo dove sosteniamo progetti di sviluppo agricolo equo-solidale. Anche la scelta di non usare materiali a perdere, di affidare il trasporto dei pasti ad automezzi a metano, di acquistare detersivi con marchio Ecolabel, lavastoviglie e frigoriferi a basso consumo e avere installato un impianto fotovoltaico sul tetto insieme a pannelli solari per la fornitura di acqua calda rientra nella filosofia del nuovo contratto». Un esempio di punto vendita concepito come centro di smistamento di prodotti locali è stato inaugurato a fine agosto a Capannori (Lucca): Effecorta (così si chiama il negozio) propone al pubblico prodotti venduti sfusi e/o alla spina di provenienza locale.

28 settembre 2009
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